Oggi voglio parlare di una persona davvero speciale, uno di quegli uomini che rendono veramente migliore il mondo in cui viviamo: Gregoire Ahongbonon.
Ho conosciuto brevemente la sua storia da una delle trasmissioni televisive che preferisco, “Sulla Via di Damasco”, e allora ho deciso di fare delle ricerche e scrivere un post su di lui, su quest' Uomo che tanto, tanto Bene ha fatto e fa tuttora nella sua amata Africa.
Gregoire Ahongbonon è nato nel 1953 a Ketoukpe, un piccolo villaggio del Benin al confine con la Nigeria, poi nel 1971 si è trasferito a Bouakè, in Costa d'Avorio, dove inizia un attività come riparatore di pneumatici e successivamente apre un agenzia di tassì. Gregoire non ha avuto la possibilità di studiare, «non conoscevo niente» ha ripetuto più volte, tuttavia, a soli 23 anni, grazie al suo lavoro aveva già la sua auto personale e ben quattro tassì: era diventato ricco in Costa d'Avorio! In Benin aveva avuto un rapporto molto forte con Dio «non potevo fare nulla senza Dio, era il mio unico riferimento, ed ero molto legato alla Chiesa. Sono arrivato in Costa d’Avorio e di fronte alla ricchezza e al successo, ho abbandonato Dio e la Chiesa». Gli affari di Gregoire, però, iniziano ad andare male, deve affrontare grossi problemi economici e la sua attività va sempre peggio fino a finire sul lastrico. A causa di questo fallimento vive un periodo di profonda depressione e smarrimento, tanto da arrivare a tentare persino il suicidio. «Ho iniziato una vita miserabile: quando avevo i soldi avevo molti amici, quando ho perso tutto, tutti mi hanno abbandonato. Sono rimasto solo con mia moglie e i due figli che avevo all’epoca. È stato il momento peggiore che abbia mai vissuto». Questa grande sofferenza fa maturare in Gregoire il desiderio di riavvicinarsi a Dio e alla Chiesa, e in questa situazione incontra Joseph Pasquier, un prete missionario che lo accoglie con grande affetto come il figliol prodigo. Questo sacerdote organizza un pellegrinaggio a Gerusalemme e, naturalmente, invita anche Gregoire a parteciparvi, pagandogli il biglietto del viaggio.
«Chi avrebbe mai creduto di ritrovarmi lungo i passi del Vangelo, a Gerusalemme! Al termine di questo pellegrinaggio posso dire che Dio mi ha donato tanto, così tanto che non sapevo come ringraziarLo. In una delle Messe del pellegrinaggio, durante l’omelia, il prete dichiara che ogni cristiano deve partecipare alla costruzione della Chiesa ponendo una pietra». Questa frase lo tocca nel profondo: «Ho compreso che la Chiesa non è soltanto dei preti e dei religiosi. E ho capito che tutti i battezzati devono partecipare alla costruzione della Chiesa e iniziai a chiedermi quale fosse la pietra che io dovevo porre».
Il ritorno in Africa e la svolta
Dopo questo pellegrinaggio, ritornando in Africa, Gregoire si pone sempre più insistentemente la domanda di quale sia “questa pietra da porre” nella sua vita e all'interno della Chiesa. Assieme a sua moglie Leontine, ha l'idea di formare un gruppo di preghiera che si rechi in ospedale a visitare gli ammalati per pregare con loro. Fonda allora l'“Association Saint Camille de Lellis”, in onore al Santo protettore degli ammalati. Durante queste visite Gregoire scopre con grande amarezza che molti ammalati giacciono in grandi stanzoni dell'ospedale completamente abbandonati, e questo perchè in Africa non esiste alcuna previdenza sociale e se si è ammalati e non si dispone di soldi, non si ha diritto alle cure mediche. «Di fronte a questi ammalati abbiamo pensato che prima di iniziare a pregare con loro, occorreva manifestare loro la nostra amicizia e il nostro amore. Innanzitutto occorreva lavarli e provvedere per le medicine; a poco a poco questi malati riacquisiscono la loro salute e quelli che erano in procinto di morire almeno potevano morire con dignità, come uomini». Attraverso questa esperienza molto forte Gregoire inizia a comprendere perchè Gesù si è identificato nei poveri e nei malati, ed è stato proprio a partire da questo incontro che lui e il suo gruppo comprendono che dovevano trovare Gesù proprio in queste persone.
Al servizio dei malati mentali
Nel 1980 inizia per Gregoire una nuova storia: quella con i malati mentali. Qui è necessario dire che i malati mentali in Africa sono considerati meno di niente, i “dimenticati dei dimenticati” e questo a causa di assurde convinzioni che taccia queste persone come “possedute” da spiriti immondi e quindi additati come un'onta per la società e una vergogna per le proprie famiglie. Giacciono in uno stato di completo abbandono, spesso nell'immondizia, abbandonati da tutti come qualcosa di “immondo”. La gente passa loro accanto ma non li vede. «Anche io, come tutti, passavo accanto a loro senza vederli – racconta Gregoire -. Tutti hanno paura di loro, e anche io avevo paura di questi malati. Un giorno però, nel 1980, ho visto un ragazzo che rovistava nell’immondizia per cercare cibo, tutto nudo. Quel giorno, diversamente dalle altre volte in cui passavo avanti senza vederlo, improvvisamente mi sono fermato e ho iniziato a guardarlo e mentre lo guardavo mi sono detto: “Questo è Gesù che cerco nelle chiese, è Gesù che cerco nei gruppi di preghiera, è Cristo che incontro nei Sacramenti, è Gesù in persona che soffre attraverso questi ammalati! Sul momento ebbi paura ma una voce, dentro di me, mi rispose: “Se queste persone rappresentano per te il Cristo, perché aver paura di loro?”».
A partire da questo incontro Gregoire inizia a far visita la notte a questi ammalati per vedere dove dormono, e iniziando ad incontrarli e a conoscerli comprende che sono degli uomini, delle donne e dei bambini che desiderano soltanto essere amati. «Ne ho parlato con mia moglie, abbiamo comprato un frigorifero portatile dove mettevamo cibo e acqua fresca e passavamo di notte per le strade a scovare questi nostri amici. Subito si è creato un legame di amicizia. Ma un giorno mi sono chiesto a cosa servisse portare da mangiare per strada mentre io poi tornavo a casa, potevo lavarmi e dormire comodamente, a differenza di quell’ammalato, che rappresenta Gesù, che invece continua a vivere nell’indigenza». E' così che Gregoire decide di incontrare il direttore generale dell'ospedale dove aveva incominciato a visitare gli ammalati ed ottiene il permesso di utilizzare lo spazio della cappella per accogliere i primi ammalati ai quali elargisce cure mediche grazie alle quali molti di loro riniziano ad acquisire la salute.
Nel 1983 il direttore dell'ospedale riceve l'importante visita del Ministro della Salute, e tra le varie cose gli mostra anche l'esperienza di Gregoire all'interno della cappella ospedaliera. Il Ministro ne rimane entusiasta e augura a Gregoire che la sua opera si diffonda al più presto in tutti gli ospedali del Paese. Gregoire approfitta dell'incontro per chiedergli «se poteva donare il terreno adiacente all’ospedale per costruire un luogo che potesse accogliere gli ammalati» e poi, grazie alla Provvidenza, è sorto il primo centro. Dapprima il nuovo centro ha iniziato ad accogliere tutti gli ammalati psichici della città, poi però, a poco a poco, cominciano a chiedere aiuto anche le famiglie degli ammalati che vivevano nei villaggi.
I malati in catene
Nel 1984, alla vigilia della Domenica delle Palme, una donna chiede aiuto all'associazione di Gregoire per il fratello ammalato: «Siamo andati con questa signora nel villaggio e, una volta arrivati, quest’ultima chiama il padre che vuole mandarci via dicendo che il figlio è già in uno stato di putrefazione e che non sarebbe servito a nulla portarlo nel nostro centro. Io ho detto che desideravo comunque vederlo; tuttavia, il padre continuava a minacciarmi di chiamare la polizia e il capo villaggio, grazie alla cui mediazione si prende la decisione di aprire la porta del luogo in cui il malato si trovava». E qui che per la prima volta Gregoire scopre qualcosa di raccapricciante: c'è un giovane incatenato a un tronco come Gesù sulla croce, con i due piedi legati al legno e le due braccia anch'esse legate con il fil di ferro e con tutto il corpo in un tale stato di putrefazione da provare un senso di disgusto. «È stato difficilissimo togliere le catene, ma quando alla fine siamo riusciti a slegarlo e a lavarlo, una volta giunti al centro, il ragazzo risponde: “non so come dire, grazie a voi e a dire grazie a Dio, non so cosa ho fatto per meritare questa sorte da parte dei miei genitori”; e mi rivolge la domanda: “posso ancora vivere”? Era talmente putrefatto da morire subito dopo. “Per me è comunque morto in modo dignitoso come un uomo». Questo fatto indigna a tal punto Gregoire da spingerlo ad andare a ricercare i malati mentali nei villaggi, dove inizia a scoprire diversi metodi di incatenamento: al collo, talvolta con le due braccia legate, altre volte con le gambe incatenate. «Cose che non potevamo immaginare alla nostra epoca».
Gregoire non attribuisce la colpa di queste cose alle famiglie degli ammalati. «Le famiglie non sanno cosa fare, talvolta è con grande sofferenza che legano i loro figli, i loro parenti, perché i malati mentali rappresentano l’ultimo pensiero delle nostre istituzioni. La Costa d’Avorio, la cui superficie supera quella italiana, ha solo due ospedali psichiatrici in tutto il Paese; in Benin c’è un solo ospedale psichiatrico. In entrambi gli Stati, come per la stragrande maggioranza dei paesi africani, privi di welfare, se non si ha la possibilità economica non si può accedere alle cure». «Non è colpa delle famiglie: quello che è peggio di tutto sono le sette religiose che promettono miracoli alle famiglie. Siccome questi malati vengono considerati come posseduti dal demonio, le sette rassicurano i genitori affermando di avere il potere di scacciare il demonio e creano dei centri dove le famiglie portano i loro ammalati e pagano anche! Li incatenano agli alberi sostenendo che occorre far soffrire il corpo affinché il demonio possa fuoriuscire dal corpo, li privano di acqua e di cibo e li bastonano per scacciare il diavolo». «Abbiamo chiesto di parlare con i responsabili di questi centri, ma non abbiamo ottenuto nulla, siamo andati fino al tribunale per denunciare, abbiamo mandato la polizia che ha asserito che si tratta di folli e che non c’è nulla da fare».
Dal momento che le rimostranze di Gregoire e della sua associazione non sortiscono alcun effetto, si è arrivati alla conclusione che l'unica soluzione possibile per combattere questa orribile piaga sia quella di costruire altri centri. Grazie alla Provvidenza e alla buona volontà di tanti uomini, l'associazione Saint Camille de Lellis conta oggi (2020) in Costa d'Avorio quattro centri d'accoglienza e sei centri di lavoro, in Benin quattro centri di accoglienza e tre centri di lavoro, in Togo tre centri di accoglienza e un centro di lavoro e in Burkina Faso solo un centro. Fino ad oggi Gregoire e la sua associazione hanno accolto più di 60 mila persone con problemi psichici in 25 anni di aiuto e interventi, e 25 mila malati di mente sono attualmente ospitati nei Centri di cura. Ma la cosa sorprendente, da sottolineare grandemente, è che sono i malati stessi i responsabili di questi centri: infatti queste persone, una volta guarite, vengono inviate a scuola per diventare infermieri e ritornano nei centri per curare a propria volta altre persone.
Gregoire nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze. L'Italia non fa eccezione in questo, avendolo insignito nel 1998, del Premio Internazionale Franco Basaglia con la seguente motivazione: “per aver dimostrato con la sua pratica di liberazione dalla contenzione e di emancipazione dei pazienti psichiatrici quanto la dignità e il rispetto degli uomini e delle donne sia alla base di ogni intervento di salute mentale”.
La testimonianza di vita e di Fede di Gregoire, uomo sposato e con sei figli, è veramente meravigliosa. il Bene che quest'uomo ha fatto, e continua a fare, assieme alla sua associazione, nel recupero e nel reinserimento delle persone malate in Africa è straordinario. Lui però non si attribuisce alcun merito perchè, come lui stesso afferma «Quello che vivo non viene da me, è più forte di me. Dio è venuto a prendermi da un fosso».
Grazie di tutto Gregoire!
Marco
FONTI: Jobel Onlus, Camilliani.org, Genova.it
Nel 1984, alla vigilia della Domenica delle Palme, una donna chiede aiuto all'associazione di Gregoire per il fratello ammalato: «Siamo andati con questa signora nel villaggio e, una volta arrivati, quest’ultima chiama il padre che vuole mandarci via dicendo che il figlio è già in uno stato di putrefazione e che non sarebbe servito a nulla portarlo nel nostro centro. Io ho detto che desideravo comunque vederlo; tuttavia, il padre continuava a minacciarmi di chiamare la polizia e il capo villaggio, grazie alla cui mediazione si prende la decisione di aprire la porta del luogo in cui il malato si trovava». E qui che per la prima volta Gregoire scopre qualcosa di raccapricciante: c'è un giovane incatenato a un tronco come Gesù sulla croce, con i due piedi legati al legno e le due braccia anch'esse legate con il fil di ferro e con tutto il corpo in un tale stato di putrefazione da provare un senso di disgusto. «È stato difficilissimo togliere le catene, ma quando alla fine siamo riusciti a slegarlo e a lavarlo, una volta giunti al centro, il ragazzo risponde: “non so come dire, grazie a voi e a dire grazie a Dio, non so cosa ho fatto per meritare questa sorte da parte dei miei genitori”; e mi rivolge la domanda: “posso ancora vivere”? Era talmente putrefatto da morire subito dopo. “Per me è comunque morto in modo dignitoso come un uomo». Questo fatto indigna a tal punto Gregoire da spingerlo ad andare a ricercare i malati mentali nei villaggi, dove inizia a scoprire diversi metodi di incatenamento: al collo, talvolta con le due braccia legate, altre volte con le gambe incatenate. «Cose che non potevamo immaginare alla nostra epoca».
Gregoire non attribuisce la colpa di queste cose alle famiglie degli ammalati. «Le famiglie non sanno cosa fare, talvolta è con grande sofferenza che legano i loro figli, i loro parenti, perché i malati mentali rappresentano l’ultimo pensiero delle nostre istituzioni. La Costa d’Avorio, la cui superficie supera quella italiana, ha solo due ospedali psichiatrici in tutto il Paese; in Benin c’è un solo ospedale psichiatrico. In entrambi gli Stati, come per la stragrande maggioranza dei paesi africani, privi di welfare, se non si ha la possibilità economica non si può accedere alle cure». «Non è colpa delle famiglie: quello che è peggio di tutto sono le sette religiose che promettono miracoli alle famiglie. Siccome questi malati vengono considerati come posseduti dal demonio, le sette rassicurano i genitori affermando di avere il potere di scacciare il demonio e creano dei centri dove le famiglie portano i loro ammalati e pagano anche! Li incatenano agli alberi sostenendo che occorre far soffrire il corpo affinché il demonio possa fuoriuscire dal corpo, li privano di acqua e di cibo e li bastonano per scacciare il diavolo». «Abbiamo chiesto di parlare con i responsabili di questi centri, ma non abbiamo ottenuto nulla, siamo andati fino al tribunale per denunciare, abbiamo mandato la polizia che ha asserito che si tratta di folli e che non c’è nulla da fare».
Dal momento che le rimostranze di Gregoire e della sua associazione non sortiscono alcun effetto, si è arrivati alla conclusione che l'unica soluzione possibile per combattere questa orribile piaga sia quella di costruire altri centri. Grazie alla Provvidenza e alla buona volontà di tanti uomini, l'associazione Saint Camille de Lellis conta oggi (2020) in Costa d'Avorio quattro centri d'accoglienza e sei centri di lavoro, in Benin quattro centri di accoglienza e tre centri di lavoro, in Togo tre centri di accoglienza e un centro di lavoro e in Burkina Faso solo un centro. Fino ad oggi Gregoire e la sua associazione hanno accolto più di 60 mila persone con problemi psichici in 25 anni di aiuto e interventi, e 25 mila malati di mente sono attualmente ospitati nei Centri di cura. Ma la cosa sorprendente, da sottolineare grandemente, è che sono i malati stessi i responsabili di questi centri: infatti queste persone, una volta guarite, vengono inviate a scuola per diventare infermieri e ritornano nei centri per curare a propria volta altre persone.
Gregoire nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze. L'Italia non fa eccezione in questo, avendolo insignito nel 1998, del Premio Internazionale Franco Basaglia con la seguente motivazione: “per aver dimostrato con la sua pratica di liberazione dalla contenzione e di emancipazione dei pazienti psichiatrici quanto la dignità e il rispetto degli uomini e delle donne sia alla base di ogni intervento di salute mentale”.
La testimonianza di vita e di Fede di Gregoire, uomo sposato e con sei figli, è veramente meravigliosa. il Bene che quest'uomo ha fatto, e continua a fare, assieme alla sua associazione, nel recupero e nel reinserimento delle persone malate in Africa è straordinario. Lui però non si attribuisce alcun merito perchè, come lui stesso afferma «Quello che vivo non viene da me, è più forte di me. Dio è venuto a prendermi da un fosso».
Grazie di tutto Gregoire!
Marco
FONTI: Jobel Onlus, Camilliani.org, Genova.it
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